Due musicisti dall’Est: Arvo Pärt, Alfred Schnittke

Parte Prima

Nel 1977 Alfred Schnittke sedeva al pianoforte (preparato) nella seduta di registrazione live di Tabula Rasa di Arvo Pärt per la Radio di Colonia.

Schnittke e Pärt: due compositori amici, dai percorsi di vita e d’arte diversi. Quantomeno per l’estetica musicale che caratterizza in maniera inconfondibile le opere di ciascuno di loro.

Negli anni ’90 la musica che proveniva dall’est Europa, post caduta del muro di Berlino, post perestrojka ecc. si mostrò ai liberi fratelli dell’Ovest in tutta la sua variegata e dirompente alterità. Le musiche di quei compositori che avevano vissuto l’isolamento culturale e la censura dei cosiddetti regimi comunisti avevano un sapore di autenticità e di consapevolezza che da tempo nell’Occidente accademico non si riscontrava.

Le musiche scritte da Denisov, Pärt, Gubaidulina, Vasks, Tormis, Silvestrov, per citare solo quelli che si sono velocemente affermati in Europa, avevano tutte in comune una spregiudicatezza linguistica e al tempo stesso erano imbevute di tradizione. In buona sostanza, una visione onnivora cresciuta all’ombra dei regimi e spronata dall’isolamento. I linguaggi occidentali più avanzati (dodecafonia, serialismo integrale ecc.) erano stati importati per vie traverse in Unione Sovietica ma venivano considerati al pari della musica tonale o modale. Solo una possibilità in più. Ciò che contava era l’espressività.

Quell’espressività, che in un contesto in cui tutti i sistemi musicali moderni convivono democraticamente e vengono usati a seconda della bisogna, diventa il contraltare del ritorno alla tonalità del postmodernismo occidentale. E poi quei tempi spesso dilatati e misteriosi, il melodiare arcaicizzante o la citazione colta innestata in un contesto quasi da film rendono le composizioni tanto comunicative e cool, una ventata di aria fresca per l’accademia europea serializzata e post serializzata.
Arvo Pärt, estone classe 1935, ha iniziato la sua carriera come compositore dodecafonico ma al tempo stesso - e abbiamo visto che non è una contraddizione - facendo uso del collage di materiali musicali preesistenti. Arvo Pärt ha avuto un successo enorme quando ha mostrato al mondo lo stile definitivo e originale al quale è giunto nella fase matura della sua vita: il cosiddetto stile tintinnabulazione.

«Lavoro con pochissimi elementi - una voce, due voci. Costruisco con i materiali più primitivi - con l'accordo perfetto, con una specifica tonalità. Tre note di un accordo sono come campane. Ed è perciò che chiamo questo tintinnabulazione».

E quindi anche lui è arrivato all’estrema rarefazione del materiale di base su cui costruire le sue composizioni, essenziali più che semplici. Arcaicizzanti e polifoniche come Passio (1982) o Miserere (1990) e tante altre ancora che rispondevano sicuramente ad una necessità interiore del musicista, ma al contempo soddisfacevano il gusto del ritorno ad una spiritualità dai contorni non ben definiti, tipico dell’occidente ricco e sazio di fine millennio.

Più laiche le opere strumentali. Spiccano per assoluta bellezza dal vasto catalogo Fratres, scritto e riscritto per vari organici: violino e pianoforte, ensemble di violoncelli, violino e archi, archi e percussioni, violoncello e pianoforte in un arco temporale che va dal 1980 al 1991.

E ancora il rigoroso e modernissimo Tabula Rasa (1977) che in Gidon Kremer e Tatjana Grindenko (violini) ed Alfred Schnittke (pianoforte preparato) ha trovato i suoi interpreti ideali.

«In una certa misura, Tabula Rasa mi fu suggerita da Gidon Kremer. Ero sempre impaurito dal nuovo». Dissi a Gidon: «Pensi che potrebbe funzionare come pezzo lento?». «Si, certo...» mi rispose. Completai il pezzo abbastanza in fretta. L’orchestrazione richiamava un brano di Alfred Schnittke che sarebbe stato eseguito nello stesso periodo a Tallinn. Era per due violini, pianoforte preparato e archi. Quando i musicisti lessero la partitura si lagnarono: «Dov’è la musica?». Ma poi la eseguirono magnificamente. Era bella; quieta e bella».

Ma su tutti svetta quella trenodia notturna intitolata Cantus in memory of Benjamin Britten (1977/80) per archi e campana, dove una enorme “messa di voce” su una frase di otto note ripetuta in crescendo dagli archi lascia il posto al flebile suono di una campana e poi al silenzio primordiale.

Questa musica dimostra, probabilmente senza averne l’intenzione, che è sempre possibile comporre musiche libere, intense e attuali al di là dei dogmatismi e degli schematismi imperanti in molta parte del linguaggio musicale colto dell’Europa occidentale.

In Arvo Pärt non è tutto oro quello che luccica, ma quando il suo oro luccica abbaglia.


Parte seconda

I

Alfred Schnittke (1934-1998) è definitivamente riconosciuto come figura importante del secondo Novecento musicale, ovviamente post mortem. Ha costruito musica utilizzando, per la maggior parte del suo catalogo, i mattoni di uno stile eclettico e inesorabile, al di fuori di ogni moda, che viene detto dai critici polistilismo.

É noto, ai cultori come ai detrattori del compositore, che le musiche realizzate per i circa sessanta film a cui Schnittke ha prestato la sua arte sono state rielaborate e riutilizzate nelle opere più importanti del suo opus.

Nelle sinfonie o nelle musiche da camera quei temi, così come le citazioni da musicisti del passato, si fondono in uno stile affatto originale e per niente neo classico, dignitosamente coerente e propositivo.

Schnittke, a guardare il catalogo delle sue opere, ha coltivato tutti i generi canonici della musica al pari dei grandi del passato: 9 sinfonie più una sinfonia n. 0 (come Bruckner), quartetti per archi, musica da camera di tutti i tipi, concerti per violino e orchestra e opere per il balletto e il teatro. Un’originale opera di teatro musicale, Vita con un idiota, destò un certo scandalo negli anni ’90 per la natura del libretto intriso di sesso, violenza e perversione.

Anche Arvo Pärt nella fase iniziale della sua carriera ha usato materiali diversi in collage musicali di notevole complessità. Ma, come s’è detto, è approdato nella maturità allo stile severo e semplice che tutt’ora contraddistingue le sue composizioni.

Schnittke ha mantenuto sempre costante la ricerca linguistica e l’adozione di materiali musicali di varia derivazione senza mai cedere al pastiche.

Si può affermare che esista un’asse ideale che lega Mahler a Shostakovich e questi a Schnittke. Lo spirito decostruttivista permetteva a Mahler di inserire in forme codificate quali il rondò o lo scherzo materiali eterogenei e, come tante volte detto dai critici, musiche popolari o triviali o muzak per arrivare ad una connotazione freudiana e nevrotica della sinfonia classica. Altro grande sinfonista (e quindi considerato demodé nell’Occidente che idolatrava qualsiasi forma musicale purché nuova e sperimentale) Shostakovich è degno erede e prosecutore della poetica sinfonica di Mahler trasportando e attualizzando quella nevrosi che nella vita del russo assumeva i tratti somatici di Stalin e Zdanov.

Se Shostakovich fosse vissuto altri trent’anni avrebbe scritto le musiche di Alfred Schnittke, sebbene le sue tarde composizioni risalgano agli stessi anni della maturità del nostro compositore.

II

La Sinfonia n. 1 di Alfred Schnittke è stata composta negli anni dal 1969 al 1974.

Nella seconda metà del XX secolo aveva senso utilizzare quella forma che, da Haydn fino a Shostakovich e Prokofiev, ha segnato i momenti più alti e complessi della civiltà musicale dell’Occidente esaurendo molte, se non tutte, le sue intrinseche possibilità? Schnittke evidentemente pensava di si (e come lui Silvestrov e Gorecki). Ma già al primo e superficiale ascolto ci si rende conto che questa sinfonia non ha molto in comune con le opere della scuola classica viennese e l’incandescenza strutturale la distingue con chiarezza dai testamenti sinfonici più significativi di autori a fine carriera (e vita): Prokofiev Sinfonia n. 7 (1951-52), Shostakovich Sinfonia n. 15 (1971).

La durata è cospicua, l’organico orchestrale vasto e colorato fino ad includere un set di campane e una chitarra elettrica. I musicisti concludono l’esecuzione citando fisicamente quanto già fatto da Haydn con la Sinfonia degli Addii e quindi gradualmente abbandonano il loro posto. Poi ritornano sul palco secondo una coreografia sui generis segnata in partitura. Nel terzo movimento è prevista una sezione di improvvisazione jazz per violino e pianoforte. Ma le parole non bastano a dare la pur minima idea di quante e quali cose accadono, musicalmente parlando, in questa composizione.
Meglio ascoltare.

III (citazioni)

“Mentre mi occupavo per quattro anni della sinfonia, contemporaneamente lavoravo alle musiche per un film di Mikhail Romm, mi sembra... Insieme all’operatore ho visionato metri e metri di pellicola. A poco a poco si formava nella mia mente una cronaca apparentemente caotica ma interiormente ordinata del XX secolo”. (A. Schnittke)
“Il polistilismo è qualcosa che ha sviluppato a metà della sua vita. Sostanzialmente deriva dal suo attivo coinvolgimento nella scrittura per il cinema, che costituiva l’unico modo sicuro per un compositore di sopravvivere in Russia. Si rese conto, a metà degli anni ’70, che la sua affinità per la musica di intrattenimento era forte quanto quella per la più sperimentale e radicale materia. Schnittke impiegò il resto della sua vita cercando ci conciliarle entrambe, o di nasconderne una a favore dell’altra, o di trovare un modo di accoglierle sotto lo stesso tetto” (V. Jurowski, direttore d’orchestra)
“Schnittke ha attraversato varie fasi. Ha scritto musica rigorosamente seriale o rigorosamente tonale e polistilistiche, ma io credo che nei suoi migliori lavori, così come in quelli meno riusciti, egli rimanga assolutamente riconoscibile e questo è un dono raro” (V. Jurowski, direttore d’orchestra)
“È stato uno dei più grandi umanisti che abbiano mai lavorato nel campo dell’arte musicale. La sua musica può avere un gusto amaro ma ti costringe ad affrontare il senso della vita, la sua tragedia, la sua poesia, il suo umorismo” (Kurt Masur, direttore d’orchestra).


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