Una cosa divertente che non farò mai più

Una cosa divertente che non farò mai più è il titolo italiano di un’opera di David Foster Wallace che ben descrive la mia giornata di ieri in veste di espositore all’East Market di Milano Lambrate, dove ho presentato la nuova Emmaboshi Collection.

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Essendo ormai sedici anni che faccio il mestiere di grafico non sono mai stato abituato a fare il mercante in fiera. In questi anni ho imparato a fare il venditore one-to-one, o one-to-few, presentando in maniera chiara il mio progetto visivo al committente.

Già per arrivare a questo ho dovuto faticare e studiare molto attentamente Don Draper presentare le sue campagne di advertising, evitando però di passare tutto il tempo, come Don, a bere Old Fashioned e ad essere turbato. Il mio ring è stato sempre una sala riunioni, un tavolo, delle sedie, alcuni fogli, non un enorme hangar con duecento venditori, tutti evidentemente più scafati di me.

Ad ogni modo, il dado era tratto e anche la Emmaboshi Collection si meritava la sua presentazione in società. One-to-many.

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Alle ore otto antimeridiane bisognava essere pronti per allestire per cui la sveglia, a Bologna, è stata puntata alle ore quattro e trenta (sì, hai letto bene). Cinque e trenta caricamento dell’apposita Mégane Scénic del mio compagno di ventura Christian Deligia, col quale avrei condiviso lo stand 2x2,5m.

Christian aveva già partecipato ad una edizione del market, il che lo metteva in una posizione di ‘veterano’ rispetto a me. Per fortuna lui è molto meno ansioso di me.

La via davanti alle due entrate dell’hangar è tutto un brulicare di furgoni, macchine, persone, tutti intenti a scaricare. Inizi a riconoscere gli esperti perché hanno il carrellino, noi da novellini andiamo giustamente a braccia. Immagino nell’era neolitica il primo uomo che inventò la ruota e la faccia di tutti gli altri che sbiancano. Gli altri eravamo noi.

Il nostro loculo è assegnato con dei crocini di gesso tracciati sul pavimento composto da bellissime assi di legno semi distrutte dall’usura. Montiamo tutto e iniziamo a fare conoscenza con i nostri vicini. Tutti positivi e cordiali, si respira aria di fratellanza tra chi si è alzato presto di domenica mattina per tentare la fortuna. Questa cosa, almeno lato mio, ha creato all’istante un senso di appartenenza e di tribù.

Alle dieci il mercato apre, inizia la musica «che dà veramente un tono all’ambiente», come il tappeto di Lebowsky. Un ragazzo dello staff gira per gli stand con un carretto a pedali vendendo caffè, tè, brioche per gli allestitori. Giustissima lettura delle necessità, non ti puoi allontanare dallo stand, ti sei alzato presto, te lo consegno a domicilio. Tornerà con birre nella seconda parte della giornata.

I primi visitatori i sono signori del quartiere, anche anziani, in coppia, a volte con i loro cagnolini, che fanno la passeggiata domenicale. Mi domando se possano essere un mio target, scopro che non lo sono. Non sono il target di nessuno, ma va bene lo stesso.

La folla cresce, nel frattempo provo vari tipi di ordinamento delle t-shirt realizzando che lo stendino in se non è diverso dalla homepage del mio sito (che ti ricordo è emmaboshi.net/shop), ovvero la prima t-shirt dello stendino è la grande immagine che fa da copertina del sito, tutte le successive non sono altro che i blocchi di contenuto che scrollando la pagina ti portano al footer.

Cerco di capire quale grafica stia attirando più curiosità rispetto alle altre, leggendo le statistiche, ovvero lo sguardo dei visitatori, la loro età apparente, lo status sociale, le pagine che seguono su Facebook, tipo di arredamento di casa e altri dettagli che su Google Analytics faccio più fatica ad incrociare.

Inaspettatamente registro che più gente del previsto è attratta dai poster, che mi ero portato dietro come completamento dell’offerta, ma che pensavo in quel contesto di abbigliamento che sarebbero stati semplici gregari. Non conoscevo però il contesto East Market, pensavo fosse 50% vintage e 50% design, invece è un mercato 99% vintage di abbigliamento ma anche arredo, quindi la gente è lì per vestiti e oggetti.

I poster li avevo incorniciati per esporli, sottovalutando che così erano dei begli oggetti già fatti e finiti. Infatti scopro che la gente vuole sì i poster, ma li vuole già incorniciati. «Cado dalle nubi» (cit) e con il mio tipico ritardo mi rendo conto che oltre al bel soggetto, bella carta, bei colori, sono disposti a pagare di più per avere il prodotto finito da appendere, senza lo sbattimento di andare all’Ikea a cercare una cornice.

Perché non ci avevo pensato prima?

Perché sono un grafico, che vive di grafica, e pensa che la grafica basti, trascurando in questo caso le esigenze dell'utente, il quale non ha tempo né voglia di completare un prodotto che acquista. Oggi sono più maturo, ma ieri ho perso almeno quattro clienti disposti a pagare il doppio per avere il poster già incorniciato. A loro ho detto, «Se passi a fine giornata te lo vendo incorniciato, ma ora mi serve da esposizione». «Ok», mi rispondono. Secondo te li ho rivisti?Esatto. Ho esaurito le mani da mangiarmi.

Tutti comunque incuriositi dai poster, chiedono il prezzo e ascoltano volentieri la storia di ognuno di essi (la giraffa, Lucio Fontana, Nikola Tesla, Freak Antoni). In omaggio assistono anche ad un po’ del mio teatrino, che mi sale spontaneo quando ho una storia solida da raccontare.

A tutti lascio il flyer (utilissimo!), perché se non sei cliente oggi magari lo puoi essere domani (con calma eh, senza fretta), da casa tua, o magari ti iscrivi al bollettino, dove di teatrino ne faccio molto. La giornata scorre lentamente, il caos aumenta, il sonno incombe, l’ansia da vendita si insinua nel sistema nervoso. Qualche vendita. Sono le cinque di pomeriggio ma con il mio fuso è già mezzanotte. Ora è il momento di essere freschi perché c’è il picco di traffico. La musica aumenta, trovo non so dove (birra?), una riserva di energia per lo sprint. Passano tanti amici milanesi a trovarmi (vi amo) e alcuni di questi che non posso citare svoltano il mio incasso della giornata. Non smetterò mai di ringraziarli. Altri mi portano entusiasmo, supporto morale e possibili agganci alla realtà milanese. Cose immateriali, che non entrano nel mio severissimo file di Excel, ma sono potenziali strade di business nuovo. Patrimonio immateriale.

Metà degli acquisti sono stati fatti da persone che già conoscevano storie riassunte nella Emmaboshi Collection, l’altra metà l’ha scoperta lì per lì e l’ha apprezzata. Sunto? Racconta tutto, per bene, o lascia perdere. È quello che online cerco di fare da tempo, ora lo farò anche dal vivo nei prossimi mercati, a Bologna 12–14 maggio Giardini Margherita, 19–21 maggio Serre dei Giardini Margherita.

Quindi, tornando al titolo di questo post, non è che non farò più mercati, ma non farò più delle alzatacce alle 4:30 am per parteciparvi. mi auguro.

La giornata volge al termine, gli espositori iniziano a smontare rapidamente e in silenzio, tutti provatissimi. Si chiacchiera, ci si chiede a vicenda com’è andata, riaffiora l’alchimia tribale della mattina.

Scatole, furgoni, fumo, rotelle che sferragliano. Ad un certo punto il nostro vicino di stand, espertissimo venditore brizzolato di vintage che ho studiato per tutto il giorno mi si avvicina, nel capannone ormai deserto, e con un sorriso vero e stanco mi porge una piccola confezione di cartone. Al suo interno un Tronky. Se non è fratellanza questa.

(immagine di me al ritorno, all'area di servizio Secchia Ovest, ore 23:35)

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